sabato 24 febbraio 2018

Il mondo insieme a te

Ho bisogno di guardarti negli occhi. Per sincronizzare il cervello. Per fare pace con me stessa. È il mio rito quotidiano . Quando ti guardo negli occhi per qualche istante in silenzio senza dire niente é come se mi si azzerasse tutto. Un reset. Come se ogni cosa andasse al suo posto. Proprio lì dove deve stare. Tu hai solo due anni e mezzo ed io a volte mi sento vecchia, perché ho superato i 40 anni. Ma non con te. Non quando sono con te, che hai cambiato le mie prospettive e l'età che mi sento.
A volte ho tante paure ma poi mi basta guardarti e....no, non spariscono, ma sento, profondissimamente, che riuscirò ad affrontarle tutte, grazie a te.
Al tuo coraggio, alla forza e vitalità che mi trasmetti.
Al mondo che mi fai vedere.

Una tranquilla domenica di paura


Vabbè diciamo che ho la tendenza a farmi dominare dalle emozioni. E premesso questo, che, in fondo in fondo, alla fine non considero un difetto, vi spiego come mi sono sentita oggi quando ho quasi affettato un dito a mio figlio tagliando il pandoro.

Era una giornata perfetta, prima di una settimana perfetta, quella di attesa del Natale, il periodo dell'anno che preferisco, quando: nel marasma generale di un pranzo  in baita tra 40 amici, mi ritrovo tra le mani il coltello dentellato del pandoro, maledetta arma del delitto, e intorno quel missile impazzito di mio figlio duenne che intrufola il suo nasino e le sue manine dappertutto.

Intrufola di qua intrufola di là, saluta questo amico, sorridi a quell'altro, affetta il pandoro e.....zac! ecco le sue ditina proprio lì sul morbido letto di pandoro, che invece di coprirsi di crema al mascarpone si ritrova sotto una fontana zampillante di sangue. (Lo avranno poi mangiato??)

Io in seguito ho disconnesso il cervello e, dopo la corsa sotto il rubinetto col dito di Pietro in mano.. (no va be era attaccato, anche se lì per lì ho pensato di dover raccogliere le falangi tra il pandoro e il mascarpone) ho iniziato a piangere come una bambina, tra lo sguardo attonito di Pietro, che aveva già smesso da ore, e dei miei amici che ..per fortuna mi conoscono e oramai non fanno caso alla mia tendenza ad enfatizzare le situazioni!!

Eppure, scherzi a parte, in certi momenti ti senti una madre di merda e pensi che tuo figlio sia piu coraggioso di te, che vai in tilt di fronte ad un po' di suo sangue.

Eppure, scherzi a parte, certe volte é una vera fortuna avere amiche che consolano tuo figlio al tuo posto, quando hai i neuroni azzerati.

Eppure, scherzi a parte, quando pensi che se tu, stasera, puoi andare a dormire senza corse al pronto soccorso e falangi di dita da cercare nel pandoro, il merito é solo ed esclusivamente suo, che, per non infierire sulla sua povera mamma,  all'ultimo secondo, ha tolto la manina da lì, proprio dove voleva frugare.

Milano

Stamattina Milano scorre fuori dal mio finestrino. Il tassista mi parla di una città che non c'è più. Io ci vengo raramente. Lo ascolto e mi viene un groppo in gola, ho lasciato Pietro un po' a malincuore dopo una giornata difficilissima come ieri. L'ho sgridato tanto e ripetuto troppe volte la mamma è arrabbiata, ed è sceso inesorabile sul mio sonno il senso di colpa. Per cose piccole, futili. Ho alzato la voce, avevo mal di testa e il problema era tutto mio. Quanto è difficile essere la mamma che vorrei. Ogni giorno mi scontro con la realtà e devo imparare un sacco di cose. Soprattutto da Pietro al quale mi sforzo invece di insegnare.
Milano mi allontana ho la testa piena di pensieri ma la canzone triste è finita e il tassista, in fondo, è simpatico. Oggi pomeriggio porterò Pietro al parco. Con questa giornata meravigliosa ci divertiremo da morire.

Vacanza 2017

La vacanza appena trascorsa resterà indimenticabile.  Per noi, come genitori, e spero anche per Pietro, per il quale potrebbe  essere il primo vero ricordo di un' estate che ha vissuto in prima persona.
Un'estate in montagna, fra le rocce di un paesaggio che mi è sempre appartenuto e che amo da sempre.
Finora, però, non avevo mai vissuto la montagna nell'ottica di mamma di un bambino di due anni: ed ho scoperto, grazie a Pietro, aspetti più semplici e autentici ai quali prima non davo spazio.
Il rumore di un torrente o le forme dei sassolini per esempio.
Quest'anno rispetto allo scorso, quando il suo incedere era ancora incerto, Pietro ha camminato tanto ed è stato protagonista di tutto quello che abbiamo fatto.
Fare le cose a sua misura mi ha spesso messa di fronte a tempi più lunghi e scoperte più nascoste.
I passi che prima percorrevo svelta  sono diventati più lenti, ma anche più attenti.
Forse a volte abbiamo un po' esagerato con le salite, lasciandoci prendere la mano dalle nostre mete "adulte" ,  a volte invece ci siamo concessi delle più ragionevoli passeggiate in paese o intorno a un lago,  ma il ritmo di queste giornate, seppure intense e lunghissime, non mi è mai sembrato faticoso o frenetico.
Il tempo della mia "nuova" montagna è semplicemente dilatato.
La sensazione a volte è stata quella di vivere tante giornate in una, e di andare a letto la sera esausti!
Non c'è stato molto tempo per riposarsi, nel senso in cui intendevamo questa attività prima di diventare genitori! Pietro infatti ha spesso fatto i suoi sonnellini pomeridiani nei trasferimenti in auto,  o nelle discese dai rifugi in passeggino oppure nello zaino portabimbo sulle mie spalle (raddoppiando il suo già "dolce" peso). Ha dormito persino nel seggiolino della bici!

Tuttavia torno a casa più leggera di quando sono partita. Magari non esattamente riposata, ma di sicuro piena di energie positive, di ricordi speciali e di momenti che resteranno per sempre nel mio cuore.

Con la certezza che la montagna sia un'eredità che voglio lasciare a lui come valore, come educazione, come forza di volontà, come stupore. Quello che rappresenta per me.

Torno piena dei suoi occhi entusiasti e del suo sorriso, delle sue stupefacenti nuove frasi, della sua attenzione nei confronti del mondo, del suo prendersi sempre più spazio nell'affermazione di se stesso, delle sue nuove consapevolezze e di quella sua inarrestabile e irrefrenabile voglia di crescere e fare sempre di più, da solo.

Un cammino tutto di corsa che, nonostante tutto l'allenamento  che io possa fare su queste salite, lui percorrerà sempre avanti a me.
E a me non resterà che cercare, con tutte le mie forze, di tenere il suo passo.

mercoledì 19 luglio 2017

Riunioni

E poi arriva la prima riunione dell'asilo per una come me.
Una come me che, molto realisticamente, era la più vecchia in quella stanzetta con le pareti dipinte, calda e affollata di mamme e di papà in un pomeriggio di fine giugno.
Un giorno qualunque, come una mamma qualunque, che fa le cose che fanno tutte le mamme.
Ma che, per me, non possono proprio essere normali.

Ed è per questo che, alla fine della riunione, sono uscita da quella stanza, lasciandomi dietro il caldo afoso e le mamme sudate che circondavano le maestre e gli facevano domande.
Sono uscita in silenzio, leggera, lasciando la porta socchiusa per non fare rumore e, senza salutare, mi sono avviata verso la macchina.
E non lo so se fosse una lacrima o il sudore che mi annebbiava gli occhi, ma sono salita in auto e ho guidato verso casa con tutti i finestrini abbassati, ascoltando una canzone a tutto volume.
Pensando a quanto lontana mi sembrasse una riunione come questa quando cercavo invano di raggiungere mio figlio. Ed ora invece la riunione era già finita, mezz'oretta al massimo!

Pensando a quanto avevo odiato le mamme alle riunioni dell'asilo coi figli.
E a quanto, davvero, non sapessi cosa volesse dire odiarle solo perché non potevo farne parte. Non lo sapevo ed ora, forse, non le odierei più ma, si sa, col senno di poi son tutti bravi a parlare...
Pensando a come farò a settembre a mettere uno zainetto in spalla a mio figlio e guardarlo avviarsi verso quell'edificio sconosciuto. A come sia già arrivato questo momento così in fretta.
E a perché mai quei maledetti anni in cui lo cercavo sembrassero lenti e lunghissimi, mentre ora il tempo sia così veloce e lo porti già su quel vialetto per l'asilo?
Poi la strada verso casa é finita. Sono arrivata e ho spento l'auto, la radio e tutto. Ho fatto un sospiro e mi son detta: in fondo c'è ancora un'estate intera per averti tutto per me, Pietro.

Poi un pezzettino di te se ne andrà, tutto solo, su quel vialetto, senza che io possa vederti di fronte, ma solo da dietro. Accompagnandoti verso la tua nuova avventura.

Speriamo che faccia ancora caldo Pietro, quel giorno di settembre, così le mie lacrime potranno confondersi col sudore, come oggi.

Giorni difficili

Ci sono giorni difficili. Giorni in cui tutto gira storto, tutto sembra insormontabile: quel problema in ufficio, quel cambiamento, quella tensione che va a finire che rispondi male a chi proprio non vorresti, e poi quell'incomprensione stupidissima, la pioggia e il traffico e nessuno che ti capisce e la borsa della spesa che ti si rompe proprio prima del portone di casa facendo cadere tutto per terra!
In questi giorni diventa difficile anche essere la mamma che vorresti.
Ti sembra di dedicare a tuo figlio solo il residuo di questa tua orrenda giornata, fatto di quel briciolo di energia rimasta, dopo che tutte le altre se ne sono andate in insulti e rabbia.

Guardarti dormire e respirare profondo con quel tuo labbro abbandonato é il momento migliore cui si possa aspirare, in giorni cosi. Ti guardo e penso: meno male che ci sei tu! Chi di noi non lo ha mai detto al proprio bambino? Chi di noi non si rifugia in loro la sera, quando li guarda dormire?
Quando lo faccio mi sento sempre sollevata, qualsiasi cosa accada nella mia giornata.
In giornate come questa la tentazione di aggrapparsi a te, figlio mio, come ancora di salvezza, in mezzo ad un mare in tempesta é forte.
Ma è una tentazione alla quale non cederò!
No, non lo farò. Non penserò questo di te, mio piccolo e inconsapevole salvatore!
Primo perché non sei il merito delle mie azioni, e Dio solo sa che cosa ho fatto per meritarmi un regalo immeritabile come te.
Secondo perché tu, Pietro, sei molto di più che la mia ancora di salvezza. Molto più che un rifugio dove scappare quando non ce la faccio.

Sei tanto, immensamente, di più.
Sei una vita. Sei un mondo. Sei tu!
Sei la tua vita, non la mia. Sei la tua forza, non la mia.
Anche se ti guardo e penso che non sarei più la stessa senza te, sento che non posso darti questo compito.
Preferisco attraversare mille di questi giorni grigi, e tornare a casa con mille buste della spesa rotte e insegnarti a raccogliere piano piano ogni oggetto e rimetterlo al proprio posto.
A fare i conti con le tue paure e fragilità perche nessuno, nemmeno la tua mamma, potrà vivere la tua vita al posto tuo.
E le persone che amerai, e che ti ameranno, sono importanti si, ma capirai che non è giusto aggrapparsi a loro per fuggire dai problemi. Affrontarli insieme piuttosto. Aiutarle e farsi aiutare. Ma mai sostituirle alle proprie paure.

Perché tu, figlio, hai tutta la tua vita davanti e solo tu puoi attraversarla con gli alti e i bassi che sono necessari.
E vivi, figlio! Vivi con tutto il tuo cuore, che stasera mi sembra l'unica cosa importante nella vita.
Vivi e racconta le cose belle che siamo stati io e te.
Perché tu sei un'orchestra di emozioni a cui dare ancora un nome.

Il treno delle mamme

Ed eccomi qui, sopra un treno che mi sta riportando a casa dalla vacanza appena trascorsa. Sono senza mio figlio, che invece è rimasto al mare coi nonni.
È  la prima volta che lo lascio solo per più di un giorno.
È  la prima volta che sto senza di lui, per più di una notte.

Sono seduta su questo treno infame, che tradisce il mio essere mamma, e che mi fa sentire in colpa, tremendamente in colpa.

È passata solo mezz'ora da quando l'ho abbracciato un ultima volta e mi manca già da morire. Sono uscita dall' appartamento prestissimo, e mi sono sentita un verme, perché ho pensato per giorni a come gestire questo momento, a come prepararlo al meglio a questo distacco di pochi giorni, e poi, è  andata a finire che l' ho salutato  ancora mezzo addormentato e non so se completamente vigile, con quel suo faccino ciondolante e pieno di sonno. Mi è venuto un  groppo in gola e non c'è l'ho fatta, gli ho baciato nel sonno quelle sue manine abbandonate, l'ho annusato forte e gli ho appoggiato la testa sul cuoricino per infiniti minuti. Poi l'ho preso in braccio per svegliarlo, gli ho detto che mamma tornerà presto, come la mamma Gufa della sua favola preferita. Aveva gli occhi semi aperti. Mi chiedo se avrà capito, ma spesso i bambini sono sorprendenti e capiscono molte più cose di quanto pensiamo noi adulti.
Ma io mi sento in colpa lo stesso. Forse in qualsiasi modo avessi fatto.  La verità è che lui tra poco si sveglierà,  e non troverà più la sua mamma accanto a lui. Ed io mi sento male al solo pensiero.

Mi manca già il suo profumo, il suo corpicino da stringere fra le braccia, i suoi occhioni profondi, le sue grida e le sue facce buffe. So già che mi mancherà di giorno, all'ora in cui abbiamo fatto colazione al mare, o in cui abbiamo giocato a fare formine di sabbia o in cui l'ho aspettato scendere dallo scivolo. Mi mancherà l'ora della focaccia, e dei cartoni dopo il pranzo. L'ora dei piedini sciaquati prima di uscire dalla spiaggia, l'ora del gelato e della passeggiata serale rincorrendo quel suo nuovo filare in bici velocissimo.

Non so come farò ad allontanare questa mancanza lacerante in questi giorni. Io sono Pietro e lui è dentro di me da quando è nato. Anzi da prima. Molto prima.
Ho pensato tanto se fosse giusto lasciarlo qualche giorno al mare senza di me, che non ho potuto prolungare le mie ferie. Ne abbiamo parlato tanto io e il Mio, e alla fine, rassicurata anche dai nonni non ci avevo più pensato, dal momento della prenotazione fino ad oggi. Fino a questo preciso istante, non avevo capito cosa volesse dire.
Quando l'avevamo deciso non avevo riflettuto bene su tutti gli aspetti di questo allontanamento, e quasi sentivo una certa attesa per qualche giorno libero da poter passare a casa da soli io e mio marito.

Immaginavamo cenette solitarie e serate da sfruttare il piu possibile che non sarebbero capitate piu tanto presto, serate libere in cui giocare a fare i fidanzati, serate da organizzare e da riempire con....boh, chi lo sa poi davvero con cosa!!
La verità è che queste serate mi sembreranno tremendamente vuote.

Il treno si ferma. Sono arrivata a Milano.  Ora devo correre al lavoro.
Stasera sarà già martedì sera. E non appena passerà la notte sarà già mercoledì e mancheranno solo due giorni prima di tornare al mare a riabbracciare Pietro. Non vedo l'ora di addormentarmi e sperare che queste notti di solitarie follie passino veloci.

I tempi dei bambini

I bambini hanno i loro tempi, che noi adulti non riusciamo a capire.

Quando cerchiamo di portarli dove vogliamo noi, ecco che loro oppongono resistenza. Quando proviamo noi a seguirli, ecco che ci troviamo a percorrere strade nuove e bellissime, molto più belle di quelle su cui siamo abituati a camminare.

La strada che ha fatto mio figlio Pietro per buttarsi finalmente in acqua in questi 15 giorni di vacanza é stata la piu bella che io da mamma abbia mai percorso. Un tuffo arrivato solo l'ultimo giorno, dopo decisi rifiuti, fughe, pianti, braccia strette intorno al collo.
E noi attoniti, a chiederci: proprio lui, che va in piscina dall' età di 3 mesi? E tutti giù a dare interpretazioni e consigli: fate cosi, non fate colà,  é normale alla sua età, non è normale alla sua età, perché di qua, perché di là...

E  invece lui sapeva. E sapeva anche riconoscere i suoi sentimenti, una cosa sorprendente per i suoi due anni, tanto pochi quanto illuminanti per me, che una sera gli ho domandato, amore perché non entri nel mare? E mi sono sentita rispondere, con tutta la più disarmante e logica semplicità, "mamma le onde mi fanno paura".
Così, scandito bene, senza errori di pronuncia. Una frase completa e perfetta.

È allora che mi sono detta, quante cose ha da insegnarmi mio figlio?

Ma ancora non sapevo quante, finché ieri, non l'ho visto partire, camminare deciso verso quelle onde, immergersi fino al collo e farsi mettere i suoi braccioli e tuffarsi, muovere le sue gambine, nuotare come sa fare, e sorridere, sorridere, sorridere.
Sorridere felice. Felice del suo coraggio, felice della sua scelta, felice della sua strada.

Sorridere come lui solo sa fare, perché lui lo sapeva.
Perché loro, i bambini, sanno sempre molto più di noi.

mercoledì 7 giugno 2017

Sogni e partenze

Oggi scrivero' un post leggero!
Si è pronti. Si parte per il mare.
Oggi, 3 giugno 2017. Il giorno della finale di Champions League Juve-Real Madrid.
Diciamo che per me e mio marito Loano non era proprio il luogo in cui sognavamo di essere per un appuntamento cosi importante per noi che abbiamo sangue a strisce bianconere nelle vene.
Ma anche questo fa parte delle cose che, ad avercele chieste tipo 3/4 anni fa, avremmo barattato di corsa con zero accessi della Juve alle fasi finali di qualsiasi coppa europea per i successivi 20 anni. Quindi OGGI tutti a Loano felici.
Siamo in macchina da 7 minuti e Pietro ha già ripetuto 8.750 volte: "la bici!" guardando con tono supplichevole la sua bicicletta nel baule, che potrà usare solo tra circa 3 ore.
In macchina abbiamo: 4 valigie, un lettino con materasso, "la bici", un negozio di giocattoli, una bancarella di gadget per tifosi gestita da emigrati juventini in inghilterra.
Cerco di adottare il metodo della resistenza passiva nei confronti de "la bici". E non siamo neanche al casello.
Sto ripensando mentalmente a dove ero in tutte le finali giocate dalla Juve che ho visto.
Nell'ultima Pietro aveva 16 giorni.
Nelle altre Pietro non esisteva ancora neanche nei miei sogni.
E penso che ci sono sogni. E sogni.
E che non importa se stasera saremo in un anonimo pub di Loano, e che magari potremo anche perdere, e che non saremo insieme ai nostri amici di sempre a farci forza. L'importante è sognare. Credere nei sogni. Averceli.

Ecco siamo al casello. Entriamo in autostrada al grido, sempre più straziante, de "la biiicii!!"!

Avrò preso tutto? Boh, oggi sono leggermente confusa.

L 'importante é che ci sia la bici.

domenica 21 maggio 2017

Favole di compleanno

Oggi sono passati due anni da quando sono diventata mamma. Due anni che hanno cambiato la mia vita, e che hanno messo fine alla mia "attesadiattesa" (http://inattesadiattesa.blogspot.it ) il nome  del mio vecchio Blog, dove ho raccontato tutto il percorso tortuoso che ci ha portati ad avere un figlio.
Oggi mio figlio Pietro compie due anni, sono le sette del mattino ed è domenica, e lui sta ancora dormendo nel lettone con il papà.
Io sono gia in piedi. Mi sono svegliata presto ed ho iniziato a scrivere. Volevo ripercorrere il 21 maggio 2015, ma poi ho aperto un armadio e lo sguardo mi si è fermato su questo ammasso di cartelle, piene di documenti, fogli, esami, ricette, esiti, ricoveri. Cartelle piene di 5 anni della nostra vita spesi appresso al nostro sogno e che non ho ancora avuto il coraggio di buttare via.
Dentro ci sono le lacrime e le delusioni che abbiamo patito e tutto ciò che abbiamo sperimentato prima di diventare genitori. Non le ho mai buttate, perché vi giuro che, ogni tanto, le apro ancora. Le apro e le riguardo un momento. Poi le metto via, ma è come se volessi che rimangano li, vicino a me, comunque a farmi compagnia. A ricordarmi di quanto abbia desiderato diventare mamma, e come sia stata fortunata  a riuscirci. A ricordarmi delle tante donne che percorrono questo cammino, a quanto spesso io pensi a loro, alle loro fatiche e frustrazioni e ai loro sentimenti che conosco molto bene.

Sono qui seduta da sola e penso. Penso a questo ultimo incredibile anno. A quanto Pietro sia cresciuto, i suoi progressi, le sue conquiste, le gioie e le paure nel vederlo cambiare.
Penso che a quest'ora, questo compleanno avrei potuto passarlo in maniera diversa, se quel fratellino o sorellina, arrivato qualche mese fa, non se ne fosse volato via cosi presto. Si perche questo 2017 ci ha portato una nuova esperienza dolorosa, che non ci saremmo mai aspettati. Un nuovo miracolo, arrivato quasi per caso, e troppo presto svanito nel sogno infranto di quello che poteva essere e non è stato.

Dopo 5 anni a riempire queste cartelle, due gravidanze naturali nel giro di due anni mi sembravano francamente impossibili. Poi invece abbiamo scoperto di aspettare una nuova vita. E siamo stati sbalzati su nel paradiso. E poi giù.  Dove quel cuoricino in più, che aveva iniziato a battere, ha smesso di farlo.

È buffo come quando ti abitui a qualcosa di straordinario questo sembri diventare quasi normale. Quando sei dentro ad una favola, come Pretty Woman, poi vuoi di più, vuoi il lieto fine, vuoi il massimo, anche se quel massimo è molto più di quello che potevi sperare.
E così mi sono sentita una donna normale, che è rimasta incinta come una donna normale, e che poteva permettersi di dire di non averci neanche pensato, come fosse successo per caso. Dimenticando come queste parole nei nostri anni duri di fecondazioni assistite e provette, suscitassero in me moti di distruzione di massa di tutto il genere femminile "distrattamente fertile".

Ma adesso che ho sfiorato un altro sogno, io penso al finale del film quando Richard Gere chiede a Julia Roberts cosa vorrebbe e lei risponde: ora voglio la favola. E lui arriva a cavallo della sua automobile a regalargliela. Credo che non smetterò mai di credere alle favole, e vivrò sempre tenendo ben presente di averne vissuta una, e di volerla raccontare a quelle donne che stanno sperando.


Oggi è un giorno speciale . Oggi  la mia favola bella si chiama Pietro, ha le guanciotte rosse e un casco ribelle di biondissimi capelli. Ed ora..si è svegliato!

venerdì 28 aprile 2017

Viaggi

Abbiamo fatto un piccolo viaggio in questo lungo fine settimana primaverile.
E' stato il nostro primo vero viaggio con te in una grande città. E sul treno del ritorno, mentre tu, ebbro di questi giorni strabordanti, ti abbandonavi al più giusto dei sonni,  io ho guardato il tuo papà e gli ho chiesto: "Lo ricorderà secondo te?"

Non so se ti ricorderai di questo viaggio quando sarai grande, caro Pietro, di questa città e del suo profumo, del sapore dei piatti che hai assaggiato, delle corse che hai fatto sul lungomare, delle musiche che hai ascoltato ballando sui marciapiedi, dei monumenti, dell'arte, della gente a cui hai sorriso e del mare che hai osservato a lungo dai moli.
Non so se ti ricorderai, e allora te lo dirò io, che hai riso moltissimo.
Ti dirò del tuo entusiasmo nel salire su un treno e nel guardare dal finestrino il mondo passare veloce. Della tua sorpresa nel vedere le grandi navi al porto e della tua passione per i motorini che a centinaia ti sono passati a 1 millimetro dai piedi, e con più facevano chiasso con più eri felice!

Ti racconterò di come a volte ti ho pensato smarrito, nella confusione e nel traffico di questa grande città. Mi sono chiesta se stavi bene, se non fosse stressante per te, sai, le mamme si fanno venire spesso tanti dubbi. Ma mi è bastato guardare come ci sorridevi, come ci cercavi con i tuoi gesti e le tue parole sghimbesce, per capire che il tuo mondo, in qualunque posto, siamo noi. Anche se un giorno non sarà più così.

Io non ho ricordi di quando avevo 2 anni come te ora, Pietro, forse si e' troppo piccoli per averne.
E forse anche tu non avrai nessun ricordo di questo viaggio.
Ma mi piace immaginare che qualcosa ti sia passato e ti resterà di questa esperienza.

Magari da grande tornerai a Napoli e, passeggiando sul lungomare, ti sembrerà di esserci già stato.
E magari vorrai saperne di più e noi saremo li apposta per raccontartelo, perché è proprio lì, in fondo, che si chiuderà il cerchio.




domenica 19 marzo 2017

I dolori indelebili di una mamma

Da due giorni sono una mamma con un tatuaggio.
Me lo hanno regalato le mie amiche per i miei 40 anni.
È qualcosa che fino ad oggi non ho mai trovato interessante. Mai fino al punto di pensare di disegnarmi qualcosa per sempre  per qualche motivo su una parte del corpo.

Ho scelto di scrivere il nome di mio figlio, e non c'è altra ragione per cui avrei sopportato un tale dolore!
Si, dite quello che volete, io ho una soglia del dolore inesistente e per me è stato folle sentire la punta di un ago incidermi la pelle.

Mentre mi torturava, il tatuatore, forse vedendo la mia faccia da primipara di tatoo, e avendogli dichiarato la mia veneranda età di 40 compiuti, mi fa, con l'espressione di uno convinto di avere di fronte una sorta di rarità: "Allora? male?"
"Malissimo" rispondo. Con gli occhi chiusi.
E lui: "Be dai se hai partorito, questo dovrebbe essere niente, no?.."
"Ho fatto un cesareo -gli dico- non so come sia partorire".
Rido.
E mi viene in mente il bisturi che mi taglia la pancia dalla quale è uscito Pietro. Il freddo della sala operatoria. Il formicolio e le gambe assenti e la lavatrice...si una lavatrice piena che viene svuotata...e tirano e tirano..E non vuole uscire, e sento male, e mi scendono le lacrime e mi mettono la mascherina, forse un po' perdo i sensi, ma sono vigile. Dov'è mio figlio?  Esce o no? Ma quanto ci mette, perché io mi sto per rompere con 'sto tirare..che dolore!

"Ecco fatto"

Ah...finalmente! È nato??

"Il tatuaggio è finito!"
Ah giusto. Il tatuaggio.
È finito. Il nome di mio figlio è scritto sul mio braccio. È bello. È bello come lui.

Che buffa la mia vita. Tra i tanti lettini su cui  mi ha messo sdraiata  questo non lo avrei mai immaginato.
Proprio mai.
Finché non è nata la mamma che aspettavo.


mercoledì 8 marzo 2017

Donne

"Mamma! perché se esiste la festa della donna non esiste anche la festa dell'uomo?"

"Piccolo mio, è una festa come tante altre...."

"Ma, mamma! Io non ho proprio mai sentito uomini che festeggiano la festa degli uomini"

"È vero tesoro, hai ragione. La tua è una bellissima domanda. Sai gli uomini non festeggiano la loro festa. Loro lo sanno e basta di essere uomini. A loro basta saperlo, e basta che lo sappiano tutti, tutti i giorni"

"Quindi alle donne non basta?"

"Vedi amore, alle donne basterebbe. È  che spesso in tanti se ne dimenticano."

"Chi? Gli uomini?"

"Non solo tesoro, anche le stesse donne."

"Cioè dimenticano di essere donne?"

"Non è che dimenticano di essere donne, è che non si ricordano che, come gli uomini, anche loro non avrebbero bisogno di una festa."

"E allora mamma, per queste persone la festa serve a farglielo ricordare?"

"Si tesoro, la festa serve a farglielo ricordare."


Perche è meraviglioso essere mamma a 40 anni

Venerdi 17 febbraio ho tagliato il fatidico traguardo dei 40 anni.

Ho doverosamente festeggiato con la mia famiglia e i miei amici più cari, e poi, nei giorni seguenti mi sono messa a pensare un po' a cosa vuol dire per me essere mamma a 40 anni, dopo anni ad inseguire la cicogna, tra gioie e dolori.
Non è facile fare bilanci, in generale, figuriamoci in relazione all'essere genitori di un bambino non ancora duenne! Ma questo numero, 40, è così rotondo, così ingombrante che, porca l'oca, sembra il sinonimo dei bilanci!
Si dice che l'eta porta consapevolezza e saggezza. Ma non l'ho mai vista veramente cosi. Credo che sia quello che noi facciamo delle esperienze a renderci consapevoli e non semplicemente il passare del tempo.

Se penso a mia madre alla mia età, ad esempio, e la vedo con un figlio di 16 anni (mio fratello maggiore) mi sembra incredibile per i tempi che corrono. Oggi la vedrei come una madre del tutto immatura per un figlio di quell'età, una rarità. Eppure nel suo caso non è stato così. Forse i tempi erano diversi e anche le esperienze, e si arrivava a 30 anni con altri bagagli.

Tutti i nostri genitori sono diventati genitori molto più giovani di noi. Siamo una generazione che fa figli sempre più tardi, nel mio caso anche più tardi della media.

Ma tardi per cosa, effettivamente?  Per chi?

Oggi sento di essere molto piu ricca di 20 anni fa. E non parlo di soldi o stabilità economica, poiché a 20 anni al giorno d'oggi è fuori discussione che ci siano anche le più minime condizioni per decidere di mettere su famiglia e infatti a quell'età nessuno ci pensa ancora, ed è difficile anche a 30 anni.
Parlo di ricchezza di vita.

Le esperienze ti cambiano ma sta a noi scegliere come. A me le mie esperienze mi hanno cambiata, soprattutto quelle negative, e mi hanno reso quella che volevo e che non ero a 20 anni.

Certo quelle diventate mamme alle soglie dei 40, come me, sono le mamme che faranno sempre pensieri del tipo: quando mio figlio avrà 10 anni io quanti anni avrò? È quando ne avrà 20 o 30? È giù a fare i conti... sperando di non invecchiare troppo in fretta per loro.

Ma sono contenta di essere diventata mamma proprio adesso.

Con la somma delle mie esperienze, delle mie sconfitte, delle mie ferite, dei miei ricordi, delle mie storie, dei miei amori vissuti e non, delle passioni, le delusioni, le persone sbagliate, quelle che mi hanno ferito e quelle che ho ferito io, delle mie amicizie, quelle storiche, quelle fugaci, quelle recenti.

Insomma la me stessa che sono adesso sente di avere come mamma qualche freccia in più al suo arco. E mi sento nel momento giusto per poterla scoccare. Per questo mi sento una mamma più pronta, forse (si è pronte mai?), certamente più vicina a me stessa di quella che potevo essere anni fa.

Non so cosa davvero significhi questa sensazione, magari un mucchio di stronzate,  magari mamma si è quando lo si diventa e basta. Oppure mamma lo si è dentro, a prescindere. Senza un figlio, senza un'età, semplicemente un'attitudine.

Io so solo che, nel mio caso, è così  e mi piace pensare che, oggi più di prima, io abbia per mio figlio più parole da raccontare, più canzoni da cantare,  più giochi da inventare, più luoghi da esplorare, più fate da incontrare e draghi da combattere, più libri da leggere, più persone da conoscere, più boschi da attraversare e più montagne da scalare e mari più blu dove tuffarsi.
Più emozioni da descrivere.

Tutto ciò non farà di me una madre migliore, ma io ce la metterò tutta per continuare ad accumulare vita da vivere, questa volta insieme a mio figlio, e chissà lui magari ricomincerà ad insegnarmi tutto daccapo.


venerdì 9 dicembre 2016

Un nuovo Natale

Mio figlio ha 1 anno e mezzo. Questo è il suo secondo Natale. Il primo, lo scorso anno, l’ha vissuto forse ancora inconsapevolmente. Questo invece pare iniziare ad incuriosirlo.

Nota con grande attenzione il susseguirsi di luci colorate per la strada, indica con le mani gli alberi di Natale e poi dice “Babbo” ogniqualvolta vede un omone grassoccio vestito di rosso e con la barba. Ma dice anche “Gesù”, perché gli abbiamo spiegato che un Bambino nasce nel presepe che ha costruito a casa dei nonni, e che non può vederlo fino alla notte magica del 24. 
 Ed è per questo che abbiamo nascosto la statuina di Gesù Bambino nel cassetto e lui gli manda baci con la manina tutte le volte che lo apriamo, anche se non riesce a vederne il contenuto. 
Ricordo che da piccola per me il momento in cui la mamma ci dava la statuina di Gesù Bambino da mettere finalmente nella mangiatoia la sera della Vigilia era un momento magico, ricco di significato e immaginazione. 

Ora che da mamma inizio a vivere il Natale mettendomi nei panni di mio figlio, mi rendo conto che girando per le nostre città, nella nostra società, il Natale preparato non è un Natale per Bambini. 

Babbo Natale è ovunque, in un proliferare di casette, villaggi, slitte. In ogni presepe c'è Gesù Bambino ed io mi sento male al pensiero che il nostro l'abbiamo chiuso nel cassetto. E che quando Pietro sarà più grande, forse già l'anno prossimo, vorrà delle spiegazioni per questo...!

Quando io ero bambina, e non sto parlando di ere preistoriche, era raro vedere gente vestita da Babbo Natale. Nei grandi, grandi magazzini, forse, ma anche quelli non erano certo diffusi come i centri commerciali di oggi. E di casette o villaggi stile Lapponia neanche a parlarne. Io la slitta con le renne me la immaginavo davvero volare in cielo, guardando fuori dalla finestra della cucina, sperando di vederla passare prima di addormentarmi. 

Da piccola avevo un amico immaginario, noto a tutta la mia famiglia. Si chiamava Andrea e  lo ricordo perfettamente. Oggi ho letto in un libro che recenti ricerche registrano una riduzione significativa della presenza dell'amico immaginario nella vita infantile.

La verità non è un concetto applicabile al mondo dei bambini. 
Io non credo che dobbiamo mostrargli tutto, dovremmo lasciare che tante cose,  soprattutto quelle più belle, più magiche come le storie del Natale rimangano nella loro fantasia, racchiuse nel loro cuore.

È veramente un mestiere difficile essere genitori oggi. 

Mi chiedo se mio figlio scoprirà tutta la verità sul Natale prima ancora di iniziare ad immaginarla. 

E in questi momenti lo guardo. Lo osservo e mi sembra subito immediatamente chiaro che non gli devo insegnare proprio niente. Che, anzi, sono io a dover imparare da lui. 

L’ho capito osservando questo: ogni mattina, quando apriamo la porta di casa per uscire, Pietro indica sorridendo e con ampi gesti delle mani, il fuoriporta che abbiamo appeso, che lui stesso ha realizzato allo spazio gioco, insieme ai suoi amichetti e all’educatrice.
Io troppo frettolosamente lo trascino per un braccio, perché siamo sempre in ritardo, con mille borse sulle spalle, una scarpa slacciata e il cappello storto. E gli ripeto: “ Si, si, amore…il tuo lavoretto!!”, mentre sono già con un piede fuori sulle scale.
Ma, oggi, l’ho guardato. Mi sono fermata un momento e, immobile, ho provato a lasciarlo fare, e ho ammirato a lungo la sua manifestazione sbalordita mentre indicava il lavoretto: un'espressione a metà tra la confusione, di chi non capisce come il lavoretto possa essere ancora e sempre lì appeso  ogni santa mattina e la meraviglia di contemplare un oggetto così interessante ai suoi occhi.

La sua era l’espressione di chi si stupisce di fronte a qualcosa che NON è nuovo.
Ed ho pensato che è veramente difficile stupirsi, per noi adulti, di fronte a qualcosa di NON nuovo. Ma che hai già visto, non solo una volta, ma addirittura tutti i giorni.

Ecco. Ho pensato. Perché noi adulti perdiamo, crescendo, questa capacità? 

Come saremmo se, come i bambini, ogni giorno rimanessimo incantati di fronte alle cose che accadono?
Se guardassimo al sole che sorge, alla pioggia, al ghiaccio sul vetro dell’auto, alle persone che incontriamo come se le vedessimo sempre per la prima volta. Ogni giorno come la prima volta? Ci pensate come sarebbe? È difficile persino da immaginare. 

In seguito all’episodio del fuoriporta ho potuto osservare che mio figlio ha lo stesso atteggiamento con i nonni, dai quali lo accompagno ogni mattina. E mi sono accorta che applica alle persone proprio lo stesso meccanismo che riserva alle cose:  sebbene lui abbia capito ormai che lo sto accompagnando dai nonni prima di recarmi a lavorare, il suo sguardo appena li vede spuntare sull’uscio della loro casa è ogni giorno nuovo. 
E la sua attesa! L’attesa di vederli. E’ quasi trepidante. 

Questo mi ha colpito, pensandoci. Mi piacerebbe imparare da mio figlio ad avere la stessa smania di vedere le cose come nuove, ogni volta. 
Di rivederle e riviverle ogni giorno uguali, ma ogni giorno con identico entusiasmo. 

Così Natale arriverebbe ogni anno, ma sarebbe sempre come la prima volta, se lo guardassimo con gli occhi di un bambino.

E così che mi è venuta l’idea del desiderio da esprimere per questo Natale. 

Io chiederei a Gesù Bambino e anche a Babbo  Natale, se potessero,  di ricevere in regalo lo stupore di mio figlio Pietro di fronte alla vita.
Gli stessi occhi luccicanti, appassionati, meravigliati, sbalorditi sul Natale, sulle persone, sul mondo intero.


giovedì 20 ottobre 2016

Ruoli


Quando ero alla ricerca di un figlio sembrava interessarmi solo diventare madre.

Dimenticavo che sarei comunque stata anche moglie, figlia, lavoratrice e molto altro.

La nascita di mio figlio ha sconvolto la mia vita e i suoi ritmi. Sono stata solo mamma, per un po, perche lo si è per sempre, ma per un po' si è solo quello.

Dopo, piano piano, si torna ad essere anche tutto il resto e  si affacciano il lavoro, gli impegni, gli interessi, le incombenze, gli altri membri della famiglia.  Ed è qui che la mamma è attesa dalla sua vera sfida: reggere a questa onda d'urto che coinvolge tutte le sue sfere.

Nulla mi sembrava meno importante del lavoro, ad esempio, al cospetto del mio desiderio di maternità, quando non riuscivo a diventare madre. Invece poi ti accorgi che tu sei anche quello, che il tuo lavoro è una parte importante di te, per sentirti utile, donna e anche mamma migliore.

Mi sono accorta che le responsabilità, le difficoltà che si incontrano nel diventare genitori, il peso di questo ruolo, la paura di non riuscire a farlo nel migliore dei modi sono aspetti che prima non avevo mai preso in considerazione ma che mettono a dura prova, anche in un periodo della vita dove la felicità è evidente.

A volte la paura di non essere all'altezza ti sovrasta. A volte mi sembra di non essere preparata a niente, nonostante tutti gli anni che ho passato a sognare di diventare mamma e ad immaginare come lo sarei stata.

Eppure, mi domando spesso, ci deve essere qualcosa che la mia personale esperienza mi abbia insegnato. Qualcosa che sia valsa la mia attesa, che l'abbia resa fruttuosa, e non vana. Qualcosa che oggi, nonostante i dubbi, le domande, gli errori, le corse, gli impegni trafelati, le mille cose che faccio durante una giornata-tipo (non starò qui ad elencarle, anche perché non sono diverse da quelle di tante mamme che, come me, lavorano ed hanno anche più di un figlio), qualcosa insomma che mi spinga a guardare a me stessa, e al mio ruolo di mamma, di moglie, di figlia, di lavoratrice, di amica... con occhi diversi.

L' ho cercato quel qualcosa e mi è capitato di trovarlo un pomeriggio di qualche settimana fa.

Ero a casa dei miei genitori, a prendere Pietro, e mio padre, di fronte ad un mio cedimento ed un po' di stanchezza relativa a questo periodo incasinato mi ha regalato un gran sorriso e, senza chiedermi niente, mi ha detto: "Chicca (cosi mi chiama da quando ero piccola) - è più bello così"!

E nel dirlo ha fatto un gesto con la mano, come per contenere l'aria tra le dita.

Un gesto semplice, ma enfatizzato, alla sua maniera. Un gesto pieno di vita.

Un gesto dal quale ho colto un messaggio che voleva dirmi: goditi questi anni, cara figlia mia, che sono gli anni più belli che la vita possa regalare ad una persona, sono anni attraverso cui anche io sono passato, ho visto nascere i miei figli, li ho visti crescere ed ho costruito la famiglia che siamo diventati, seppur con difficoltà e momenti duri. Sembrava dire: goditeli perchè, credimi, volano via...e non puoi trattenerli,  come il gesto della mano che non riesce a trattenere l'aria.

Mi sono commossa pensando a questo gesto, a mio padre, e al pensiero di tutto quello che voleva dirmi. È come se mi avesse quasi invidiato, mio padre, in quel momento.

Ho visto nei suoi occhi il suo rivedersi in me, come genitore, che ha vissuto questo stesso periodo della nostra vita e lo conosce come momento intenso, carico di fatiche, le fatiche di chi cerca di costruire qualcosa insieme, ma strabordante di adrenalina, di felicità pura che scoppia nelle vene che certi giorni non sai come sfogarla tanto ti sembra esplodere.

La risposta, che per anni ho cercato in un figlio, l' ho trovata l'altro giorno, per caso, in mio padre.

Ed ora tocca a me.

giovedì 1 settembre 2016

#fertiltyday

Cara Ministra della Salute,

sono la mamma di un bimbo di 15 mesi. Dio solo sa quanto l'ho aspettato e desiderato, e il suo arrivo è  stato talmente travagliato che ho deciso di raccontare la mia storia e quella di mio marito in un blog che si chiama "la mamma che aspettavo".
Si, proprio così,  perché la mamma che aspettavo è  arrivata a 38 anni. 

Il motivo per cui ti sto scrivendo, cara Ministra, è lo stesso per cui ho deciso di scrivere la mia storia su un blog, e cioè per non fare mai più sentire le donne che desiderano un figlio e che non possono averlo come delle donne di serie B, delle donne a metà, incompiute o "difettose", come spesso, invece, mi sono sentita io.

Vedendo le immagini della triste (non so davvero come altro definirla) campagna che tu, con l'appoggio del tuo governo, hai deciso di lanciare a favore (?) della fertilità, non ho potuto resistere e, perdonami la franchezza, ma devo dirtelo: penso che dovreste vergognarvi. 
Parlare di fertilità è  difficile, dirai tu! Lo so, non dirlo a me, che mi sono messa a nudo in rete, raccontando le fatiche, le delusioni, le frustrazioni e i dolori psicologici che una donna subisce quando non riesce a diventare madre desiderandolo con tutta se stessa. Ma proprio per questo ti chiedo, in tutta sincerità: ma come ti è  venuta l'idea di parlare di questo argomento alle donne italiane che non hanno figli rappresentandole con una clessidra in mano? Come??

Ti sto parlando da mamma a mamma, cara Ministra, ché so che anche tu sei diventata madre in tarda età e perciò dovresti sapere che sbattere in faccia una clessidra ad una donna che sta cercando un figlio e che fatica ad averlo è  un po' come mostrare ad un condannato a morte la foto del patibolo ogni giorno! 
Durante tutti gli anni che ho trascorso con mio marito tra centri di procreazione assistita, provette, punture, esami, iui, fivet e compagnia bella ho combattuto la mia personale battaglia contro il tempo che passava e che piano piano si portava via gli anni che avrei voluto dedicare a prendermi cura di un figlio e, credimi, la clessidra era uno di quegli oggetti che non volevo vedere neanche dipinta! 

Tu dici che la fertilità è un "bene comune", ma non lo è. È una caratteristica personale, fisica di ogni donna o uomo che sia, e scusami ma tu che sei Ministra della Salute dovresti saperlo! Di più,  dovresti aiutare il sistema sanitario ad agevolare le cure, i rimedi e incentivare gli studi sul perché questa malattia sia sempre più  diffusa negli ultimi anni nelle nostre società occidentalizzate e stressate, e perché i centri di PMA siano così affollati e le liste d'attesa così lunghe, anziché far sentire le donne in ritardo! 

Voglio lasciar perdere i discorsi, ragionevoli e giustificabili, relativi al fatto che diventare genitori può essere anche una scelta dipendente da ragioni di stabilità economica, lavorativa eccetera. Sono convinta che lo è  in molti casi, e nessuno  ha il diritto di consigliare quando per una coppia sia il momento giusto per avere figli. 

Ma voglio concentrarmi solo sulla mia modesta esperienza, poiché non posso giudicare le altre: parlo da donna e parlo per quelle donne che non possono scegliere. 
Per quelle che un figlio non lo possono avere, anche se lo sanno che il tempo passa, e che soffrono, sperano oltre ogni limite, provano vergogna perché non si sentono adeguate, si sentono in colpa nei confronti dei loro compagni, dei loro famigliari, in colpa verso se stesse per qualcosa di cui invece non hanno nessunissima colpa! Ne ho incontrate tante di donne così. Nelle sale di attesa, negli ambiti della vita più impensati e nelle cerchie più ristrette delle mie amicizie. Care amiche che oggi, diversamente da me, non sono riuscite a realizzare il desiderio di un figlio. 

Come donna che è stata fra loro mi sento offesa oggi per il messaggio che passa dalla vostra comunicazione: quello di una donna che deve realizzarsi per forza e  in fretta solo diventando madre. 

Oggi che lo sono posso dire che essere genitore è  senza dubbio un'esperienza appagante e affascinante, un evento che cambia la vita per sempre. Ma mi sono sempre chiesta e me lo chiedo spesso ancora oggi come avrei affrontato la mia vita se fossimo rimasti senza figli? 
Non lo so con certezza, ma una cosa, cara Ministra, l' ho imparata dal mio doloroso e tortuoso percorso per diventare mamma "in ritardo" e cioè: che semplimente i figli, i nostri figli, devono essere felici, e non farci felici. Quando ho capito che avremmo potuto essere felici anche senza figli ho capito che avevo raggiunto la meta della mia ricerca, che sarei stata pronta ad accogliere un figlio, ma anche a vivere senza.

Anche ora che un figlio ce l'ho, sento che lui non dovrà avere la responsabilità della nostra felicità come genitori, perché un figlio che nasce già con questa missione è un uomo che ha già sulle spalle un fardello ingiustamente troppo pesante e se non può affidarglielo un genitore figuriamoci lo Stato. 
Spero per te cara Ministra che tu non voglia affidare ai tuoi figli e ai figli delle mamme italiane la responsabilità di farle sentire pienamente donne.

sabato 13 agosto 2016

Medaglie

Guardando i Giochi Olimpici in questi giorni e, in particolare, le facce degli atleti sul podio, ho pensato spesso ad una cosa che mi è capitato di dire e scrivere in riferimento alla mia tanto attesa e un po’ miracolosa gravidanza.
Ci penso e guardo i loro volti, cercando di capire se quella medaglia se la aspettassero o meno. Cerco di scorgere in quei volti il segnale di coloro che si trovano lì inaspettatamente, non so, magari avendo battuto il superfavorito, oppure avendo fatto la gara della vita, quella che non ti ricapita più. E lo sai.
Perché la differenza in quei volti si vede. Si vede dagli occhi, che hanno una luce diversa. Diversa da quelli che, invece, sanno di essere i più forti.
Ecco io, spesso, mi sono sentita durante la mia gravidanza come uno di questi atleti. Come uno di questi giocatori scarsi che vincono una medaglia d'oro e la cui vittoria non potrà mai essere uguale a quella del giocatore più forte. Ma è una vittoria dal sapore speciale. Il sapore dell’impresa.
Per questo ho sempre pensato che le gravidanze come la mia abbiano con sé un sapore diverso rispetto ad altre. Non più degne o meno, sia ben chiaro, ogni vita che viene al mondo ha la stessa dignità, ma essendo più sofferte hanno indubbiamente una considerazione diversa da parte di chi le raggiunge, diversa da quelle venute così, quasi senza pensarci, o senza difficoltà.
Ho guardato tanti pancioni di mamme come ho guardato gli occhi degli atleti sul podio, cercando di capire che tipo di pancia fosse quella. Come se cercassi solidarietà solo in quegli occhi che, come i miei, erano increduli.
Per mesi, anche oltre il primo trimestre, ho evitato fatiche, sollevamenti pesi e persino troppe scale nell’intento di preservare un pancione che non mi sembrava vero di avere, trattandolo come una fragilissima sfera di cristallo che avrebbe potuto rompersi da un momento all’altro.
Tante precauzioni inutili, stupidissime se le racconto a tante donne, ma che per me erano la naturale conseguenza del percorso che mi aveva portato lì, su quel mio personalissimo podio, senza averne nessun merito particolare.
Perché è questa la differenza: un figlio non è come una medaglia. Un figlio non è un merito e non dovrebbe essere mai considerato tale. Qualunque sia il cammino che ti abbia portato ad averlo.
Io mi sono  sentita e mi sento ancora oggi, spesso, come la destinataria di un dono immeritato, rispetto a tante altre donne che, pur desiderandolo, non lo hanno ricevuto. Per questo ho fatto di tutto fin dall’inizio della gravidanza per proteggerlo, anche esageratamente.  
Ma tutto questo mi ha fatto capire il contrario e cioè che non c’è niente che una donna o un uomo possano fare per meritare un figlio.
Un figlio non si merita, così come non si demerita. Si deve accettare e basta. Un figlio non è, e non deve essere, la ragione di vita di un genitore, non si può dare loro questa responsabilità. Non è giusto.
Un figlio è una vita, che appartiene solo a lui, e di cui possiamo essere solo il trampolino di lancio.
Perciò Pietro, Amore mio, farò di tutto per essere una buona madre per te, per far si che i tuoi sogni si avverino, ma questo è tutto ciò che posso fare.

Poi, Amore sarai tu a dover giocare la tua partita, non importa se con o senza medaglie.



sabato 6 agosto 2016

Lupo, lupo...ma ci sei?

Da quando sono mamma molto è  cambiato nella mia visione della vita, ma anche di quella sui bambini in particolare.  

Non riesco più a tollerare la visione di sofferenze nei bambini.  Non che prima mi piacesse, ovviamente, ma oggi sento un groppo alla gola, un dolore, quasi fisico allo sterno, che mi rende difficile guardare una qualsivoglia immagine di bambini che soffrono. Cambio canale non appena vedo in tv le pubblicità di Medici senza Frontiere,  di bambini abbandonati, malati, denutriti. 
E in questi giorni, dopo il video dei maltrattamenti in un asilo di Milano, ho sentito il bisogno di scrivere sull'argomento.  

Non riesco, non ci riesco proprio a guardare quel video.

Non so cosa mi prende, ma il pensiero di uno solo di quei bambini che hanno dovuto subire queste violenze mi fa stare male. Ma male, giuro, fisicamente! È una cosa che ho riscontrato parlando sia con il Mio, sia con altre amiche mamme. Non ce la si fa. Eppure, ahimè , notizie come questa non è la prima volta che le sentiamo. 
Ma ho cercato di capire cosa sia quel dolore specifico che sento, dato dal mio essere genitore.  Quando hai un figlio vorresti che il mondo per lui o per lei sia accogliente e benevolo, non desidereresti mai il male,  ma questo, oltre che essere ovvio, è anche purtroppo irrealizzabile perché,  si sa, il male, il dolore, la sofferenza sono parte della vita e sono cose che,  pur con le dovute proporzioni,  occorre affrontare per diventare adulti. 

Per cui non è questo quello che mi fa paura. Quello che provo fa parte dell'irrazionale, è  qualcosa di ignoto, un timore sconosciuto che, associato alla possibilità che possa toccare un essere indifeso come un bambino diventa intollerabile.
E, ancor di più, immaginato per mio figlio, ecco che arriva il dolore allo sterno.

Ci sono tante cose che possono far preoccupare un genitore circa la crescita di un figlio, le migliaia di variabili che possono intervenire nella sua vita e che, sfuggendo al tuo controllo, incidono sul corso degli eventi. Ma niente credo sia paragonabile ad una paura indefinita, qualcosa che non ti aspetti e che non sai descrivere. Qualcosa o qualcuno che non conosci. 
E credo che sia questo timore ad intervenire in questi casi nel cuore di una mamma o di un papà, che di fronte ad esso si trovano impotenti. Incapaci di proteggere il proprio figlio. 
Questo fatto dell'asilo di Milano mi fa pensare astrattamente a queste paure, ma anche a interventi più concreti che dovrebbero eliminarle del tutto se le cose funzionassero bene. Ma questi sono altri discorsi. 
Non so se in ogni caso il dolore allo sterno se ne andrebbe del tutto, o se farebbe capolino comunque in altre occasioni. Non lo so. Quello che so e che volevo condividere era questo mio male al petto. 

E questa è  una delle cose che non mi aspettavo, sinceramente. Non la immaginavo cosi mentre aspettavo di essere mamma. Ma credo che dovrò  accettare il fatto che, fra le tante gioie che il diventare mamma comporta, ci sia necessariamente anche questa piccola grande fitta, che farà compagnia al mio cuore per sempre.


mercoledì 27 luglio 2016

Auguri papà!

Caro Pietro, oggi è un giorno speciale. Ti sembrerà strano perché apparentemente è uguale a tutti gli altri della settimana: tu sei dai nonni e la mamma è immersa nel traffico e nelle scartoffie dell’ufficio che si accumulano in vista delle vacanze estive.
Ma oggi è il compleanno del papà!

Accidenti, Pietro, ma abbiamo pensato ad un regalo? Perché non mi hai ricordato di andare insieme a comprarlo uno di questi giorni?? Te ne sei scordato anche tu! Forse perché sei troppo piccolo per ricordarti di averne già vissuto uno, alla fine, l'anno scorso avevi solo due mesi. O forse perché io odio portarti per negozi e i nostri pomeriggi sono sempre pieni di giochi all’aria aperta e prati e boschi e piscine, ed è così che ci siamo dimenticati il regalo per il papà!
Ma, anche lui, non potrebbe compiere gli anni in un altro periodo? Meno incasinato, che ne so, come la mamma a febbraio, che, dico io, è un mese in cui non succede niente altro di importante e non a fine luglio con le valigie da preparare (ma se partiamo il 13 agosto?..bhè io alle valigie ci sto già pensando) e mille progetti da chiudere in ufficio, e i pomeriggi in piscina da organizzare??

Va be ormai è fatta! Per riparare parzialmente all’assenza di regalo, quest’anno voglio fargli gli auguri in un modo speciale e, visto che la mamma ha un bellissimo blog, ha pensato di dedicargli un intero post! Perché è vero che questo blog, come si capisce dal nome, parla principalmente della mamma, ma è anche vero che senza il papà il blog non esisterebbe nemmeno!

Perché sai, Pietro, il tuo papà non è soltanto il tuo papà, anche se ha desiderato tanto diventarlo. Lui prima di essere il tuo papà era (è ) il marito della mamma e prima ancora il suo fidanzato. Capirai questi concetti fra qualche anno, quando spero ti capiterà la fortuna che è  capitata a me, incontrando il papà.

Lui non fa ridere solo te sai, o meglio, non solo te, adesso. Lui ha sempre fatto ridere tanto anche la mamma, quando tu non c'eri.
Adesso a te sembra buffo quando fa le voci strane, e le imitazioni del genovese se andiamo in Liguria, o del romagnolo quando siamo a Parma. Ma sei fortunato che non siamo ancora stati con te in Sardegna! Lì  ti sbellicheresti dalle risate proprio! Ti ci dobbiamo portare perché il sardo è  il suo preferito.

Prima che tu arrivassi papà era sempre attivo, pronto ad uscire la sera: ora, tu lo vedi spesso lì  sul divano, che è  un po' stanco, ma ti assicuro che lui era il primo a trascinare le serate con gli amici. Adesso, non è  colpa tua Pietro, che pure sei un bambino che ci fa dormire e sei obiettivamente un angelo da quando sei nato, ma è che il divertimento con te è  molto, molto più grande di quello di prima, ed è  per questo che è più stanco! Come fai tu con i tuoi amichetti, più ti diverti più sei stanco!
Inoltre devi considerare  che lui, oltre a divertirsi con te, ha anche altri bambini coi quali divertirsi, quelli del suo lavoro, che sono tantissimi e d'estate, quando la scuola finisce, hanno un sacco di voglia in più di divertirsi. Anche questo lo capirai piu avanti. Ora, puoi immaginare, se la stanchezza è  proporzionale al divertimento,  quanto può  essere stanco il papà  alla fine della sua giornata di lavoro-divertimento!

Comunque un giorno Pietro quando ricorderai di essere stato bambino io ti auguro di desiderare un figlio come lo ha desiderato il tuo papà.  E ti auguro di non averlo subito, appena lo desideri. Ma che la vita te lo faccia attendere un poco, un poco soltanto. Non tutto quello che abbiamo aspettato noi prima di raggiungere te, no, non cosi. Ma quel tanto per capire la bellezza delle cose desiderate. Ma non potrai capirlo da solo, per cui ti auguro che con te ci sia qualcuno che sappia aspettare, proprio come ha fatto il tuo papà con la tua mamma.

Perché tu sei ancora piccolo, caro Pietro, ma devi sapere che, nonostante mamma e papà abbiano due caratteri molto, molto testardi (indoviniamo come verrai fuori tu, da grande?) e abbiano preferenze e gusti pressoché opposti su (quasi) tutto, il papa è la mamma insieme hanno dato vita ad un connubio speciale, uno di quelli che, non si sa per quale strana alchimia, funzionano perfettamente!

Perché il tuo papà, caro Pietro, ha tanti difetti, ma è una persona grande.
Ha la forza di chi sa andare oltre le apparenze, e guardare negli occhi le persone. Anche quelle che incontra per la prima volta. Ha la tenerezza di abbracciare, di dire “ti amo” ogni giorno. E’ entusiasta. Guarda avanti e non recrimina mai il passato. Sa ascoltare ma soprattutto sa mettersi nei panni di chi ascolta. Si accetta per quello che è, e accetta gli altri come sono, senza mai volerli cambiare. 

E’ una persona libera, come poche ne ho conosciute nella vita.

Sono queste le cose che invidio di più al tuo papà e che spero tu, Pietro, riceverai in eredità da lui.
Auguri Mio!

martedì 12 luglio 2016

Sonnellini e sorprese

Sono due pomeriggi che Pietro ha spostato l'ora della nanna.
Non è  crollato come al solito dopo il pranzo dai nonni ma l'ho trovato sveglio al mio ritorno dal lavoro. Così la nanna l'ha fatta a casa nostra sul nostro lettone ed io ho potuto sdraiarmi con lui, assaporando nuovamente il piacere del sonnellino pomeridiano che facevamo sempre insieme quando aveva pochi mesi ed io ero ancora a casa in maternità.

Osservarlo dormire nella penombra afosa di un pomeriggio feriale è  ancora uno di quei momenti che scalano la classifica dei miei top preferiti. Lo guardo e penso che un anno fa esatto stava in un body 3 mesi e che era l'estate più  calda mai vissuta e che lui mi stava sempre addosso, mi appiccicava la pelle, mi guardava fisso, avido del mio contatto. Oggi ha i capelli lunghi quasi ricci sulle punte, biondini, sempre spettinati. Crolla stanco perché  si muove, è un vulcano, non sta mai fermo. Il suo interesse non sono più  solo io, ma in compenso mi chiama mamma facendomi immensi sorrisi.

Momenti come questo pomeriggio  sono più  rari  e preziosi da quando lavoro.
Le cose da fare sono tante ma sto imparando a gestirle tutte, anche se ho ancora tanta strada da fare.

Avrei voluto scrivere molte più volte sul blog per esempio, ma la quotidianità, che si sta instaurando in famiglia, e i momenti da godere insieme occupano tutto il tempo libero dal lavoro.

Spesso io e il Mio non riusciamo nemmeno a parlare, lo spazio è completamente invaso da Pietro e siamo ebbri di lui. Continuiamo a rimandare una serata per noi soli con delle scuse ma la verità è che preferiamo le nostre serate a 3, piuttosto che a due! E che non abbiamo alcun bisogno di doverci dedicare del tempo lontano da Pietro per sentirci più coppia.

Comunque stasera gli ho fatto una sorpresa. Ho regalato al MIO il biglietto per il concerto all'aperto del suo beniamino di gioventù Max Pezzali. Che dire...è una musica leggera, ma non vedevo l'ora di vederlo fare una cosa leggera, tutta sua, per divertirsi con quello che piace a lui, da solo. Senza di noi. Per lui che anche quando è stanco non cancella mai il suo sorriso per noi.

Speriamo che non piova e che non ti mancheremo,  almeno per stasera, papà!




giovedì 26 maggio 2016

1 anno di te: il giorno in cui sei nato


Sabato abbiamo festeggiato il primo compleanno di Pietro.

Il primo anno di vita insieme. Mi sembra già passato così velocemente. Se ci penso mi viene quasi da piangere: anzi a volte ho pianto (sono da ricoverare) pensando al tempo che è già passato, a tutti i momenti belli che sono già trascorsi e che, inevitabilmente, non torneranno più. 

Tutte le prime volte, le prime emozioni, le fragilità dei primi mesi, le insicurezze, le prime notti che spaventavano, i primi viaggi in tre. Tutto, insomma, quello che si sperimenta in un anno che è tra i più rivoluzionari per due genitori.  

Lo so che è stupido, perché per un anno che è passato molti altri ne dovranno ancora venire e ci saranno molte altre nuove emozioni da vivere, sempre diverse, man mano che nostro figlio crescerà, ma ho come la sensazione che questo periodo trascorso resterà unico, e un po’ mi dispiace che sia già dietro le spalle. 

Nei giorni scorsi sono stata strapresa ad organizzare l’evento “festicciola” e, complice la splendida giornata di sole, è stato un momento meraviglioso. 
Non potete capire quanto io senta lo speciale calore e l’atmosfera che si crea quando raduniamo intorno a noi famiglia ed amici per gli eventi speciali! Questa volta c’erano tante energie insieme: i nonni, commossi e inteneriti, innamorati persi del loro atteso primo nipote, gli amici di una vita, quelli con cui abbiamo condiviso tutto e gli amici nuovi, quelli arrivati con Pietro, coi quali c’è tanto da condividere oggi e in futuro.

Inutile dirvi quanta tenerezza nel vedere il mio Piripu spegnere la sua prima candelina e guardarlo ascoltare stranito la sua prima canzoncina di auguri! Era sorpreso e guardava tutti con quei suoi occhioni grandi. Mi sembrava felice.

In quel momento non ci ho pensato, impegnata com’ero ad aiutarlo a soffiare, ma la sera, quando tutti se ne sono andati e lui è crollato, ubriaco di volti, di sorrisi (e di regali) nel lettino della sua cameretta, mi sono fermata li, in piedi, a guardarlo dormire e non ho potuto fare a meno di pensare intensamente a un anno prima. 

Il giorno in cui è nato Pietro era nuvoloso. Non freddo, ma neanche quel caldo tiepido e dolce di fine maggio, come è stato sabato. 


Io e il Mio ci siamo presentati in ospedale addirittura in anticipo sull’appuntamento concordato con i dottori. Dovete sapere che Piripu è nato con un taglio cesareo programmato, in quanto podalico nell’ultimo mese di gravidanza. Non ha sentito ragioni e dopo aver effettuato la capriola all’indietro, posizionandosi coi suoi piedini in avanti, ha deciso di rimanere così fino alla fine, come a dire che lui, nella vita, ci voleva arrivare di corsa e in fretta, senza rischiare dilungamenti, vista la confidenza già sperimentata con la sua lunga attesa.
Della sala operatoria la cosa che mi ricordo con più intensità è il freddo! Un freddo cane, io mezza nuda e i dottori bardatissimi fino ai denti coi loro camici e le mascherine tirate su.
Dire che ero tranquilla mi sembra troppo, un po’ di ansia ce l’avevo, soprattutto  legata all’anestesia spinale, ma in fondo, di lettini di ospedale ne avevo già sperimentati e, questo, era proprio quello su cui desideravo essere sdraiata!! Non mi importava del parto naturale, non me ne è importato fin dall’inizio, quando il gine mi preannunciò il cesareo. D’altra parte potevo, proprio io, soffermarmi sul rimpianto di un parto naturale??
Suvvia, non scherziamo! Chi se ne importava se non avrei urlato, sudato, spinto, avuto le contrazioni. E chi le voleva? Io volevo solo lui: ho sempre promesso, in questi anni di attesa, che non mi sarei mai lamentata per notti insonni e occhiaie, io, che avrei dato tutte le ore di sonno del mondo per avere un figlio…..figuriamoci per un parto cesareo!

Mentre mi tagliavano il basso ventre ho sentito le mie forze cedere; le mie gambe mi avevano già abbandonato da qualche minuto dopo essersi rapidamente informicolate del tutto. Guardavo il soffitto della sala operatoria e le facce degli anestesisti sopra di me. Mentre pensavo “tra poco lo vedo, tra poco lo vedo…” quello che vedevo, in quel momento, erano delle lacrime rigare il volto dell’anestesista alla mia destra, un ragazzone alto e non giovanissimo. Mi soffermai su di lui: le sue parole all’uscita di Pietro dal mio pancione sono state le prime che ho realizzato, prima ancora del suo vagito; mi disse, piangendo, e poi scoprirò il perché: “Signora, è bellissimo”.

In quel momento archiviai quella frase, ovviamente, mi sembravano comuni parole che un infermiere in sala parto rivolge ad ogni neo-mamma. Invece erano parole speciali, ma lo capii verso le 17 di quel pomeriggio.

Io, comprendete, in quel frangente, avevo da fare. Pure il mio, di viso, era un fiume di lacrime, non riuscivo a smettere e la vista mi si annebbiava, ma non ho mai perso conoscenza. Ho sentito tutto quello che facevano i medici e quando hanno tirato fuori Pietro mi sono sentita come una lavatrice svuotata di un enorme sacco piumone che occupava l’intero cestello! (Questa metafora l’ho usata più volte per raccontare la mia esperienza di parto a tutte le mie amiche mamme-non-cesaree).

E così alle 12,30 del 21 maggio di un anno fa, Pietro ed io ci siamo guardati negli occhi per la prima volta. Effettivamente era bellissimo.

I giorni seguenti in ospedale li ricordo come una giostra di immagini. 
Lui sul mio petto, lui con la tutina che avevo preparato nei sacchetti della valigia, lui nella culla di plastica di fianco al mio letto, ed io con il mio taglio dolorantissimo, i punti, le flebo attaccate, le tette così piene di latte da stare male, le visite notturne delle ostetriche nel corridoio solo apparentemente buio, su cui si affacciavano camere grondanti pianti di neonati, noi mamme nuove col fiato in gola e con i pannolini che non sapevamo cambiare. 

Tutto, a ricordarlo ora, aveva anche un profumo, un sapore, un colore. La gioia e la fatica di quelle notti le ricordo così.

Eppure io non posso dimenticare che sono stata senza di lui ad aspettare a lungo questi momenti. Ed è proprio per questo che mi sentirò sempre vicina a chi questo sogno lo ha cercato invano, a chi lo sta ancora cercando o a chi lo troverà solo dopo tanta sofferenza.

A persone come quell’infermiere, che piangeva perché cercava un figlio da più di 4 anni senza riuscire a raggiungerlo, a cui per lavoro toccava veder nascere i figli degli altri. Venne nella nostra camera a ringraziarci perché per lui eravamo l’esperienza dalla quale trarre forza per andare avanti. Aveva saputo dei nostri ripetuti tentativi di PMA, che anche lui e sua moglie stavano affrontando. 

Di fronte a lui mi sentii in debito e questo è uno dei motivi per cui ho deciso di scrivere la mia storia.

martedì 17 maggio 2016

Mamma col tacco....per un giorno!


E fu così che, dopo più di un anno e mezzo di astinenza, sono tornata in un negozio di scarpe e ne sono uscita con un tacco 12!

Non che io sia un’amante del tacco, né 12 né tantomeno 6 o 7, cioè, per capirci, se vivessi in un paese esotico girerei sempre in infradito, ma comprare un paio di scarpe col tacco fa sempre bene all’umore e anche all’autostima! E’ sempre un’esperienza entusiasmante per una donna provare certe sensazioni legate ad un acquisto d’impulso.
O, perlomeno, per me lo è!

Premetto che ho lasciato Pietro al  Mio,  diversamente non avrei potuto prendermela comoda, così come me la sono presa, provando e riprovando modelli, come una single spensierata!
La commessa del negozio ha conosciuto, nell'arco di una bella mezzoretta (tanto è durato il tutto) la storia dei miei piedi, dalla gravidanza ad oggi.
Sono riuscita a raccontarle di Pietro, delle difficoltà ad averlo (poteva importarle di meno?? ) e di conseguenza, come fosse una logica conseguenza, della impossibilità di mettere tacchi essendo diventata mamma!

L’occasione per questo ardito acquisto me l’ha data il matrimonio imminente di una cugina. Non potevo certo presentarmi con le solite ballerine, seppur strassate o luccicanti! Ebbene, mi sono detta: se non ci provo ora, non li rimetterò mai più, un paio di tacchi!

Ed ecco come che mi presenterò a questo matrimonio: con in braccio il nano che mi strapperà le vesti e tirerà da ogni lato la mia messa in piega, sudata e col trucco approssimativo “fai da te” (un tempo non poteva esistere matrimonio senza previa estetista, appunto…un tempo…), di certo saremo in ritardo e trafelati, urlanti “rulba rulba”, che nel linguaggio dei magici libri in pietrese significa “corri, corri!”… ma avrò il mio tacco 12!

Eccome se l’avrò!

E sarò una mamma col tacco 12…..almeno per quel giorno.

Pensare che avrei spergiurato di mettere tutta la vita le ballerine in cambio di un figlio!


domenica 8 maggio 2016

Oggi che sono mamma

È arrivata la mia prima festa della Mamma da mamma. Siamo sinceri, potevo non scrivere sul mio nuovo blog per questa occasione?
No, obiettivamente.

Voglio raccontarvi cosa ho capito della festa della Mamma in questa mia prima festa della Mamma da mamma!

Per capire ho iniziato da quando ero bambina e per me la festa della Mamma era un giorno bellissimo.

L’occasione per poter confezionare, con tutta la mia fantasia di bambina, lunghe letterine e speciali biglietti per la mia adorata mamma. Sono sempre stata espansiva e affettuosa e mi sentivo felice nel raccontare le mie emozioni.

Ecco, in questo diciamo che non sono cambiata! E' uno dei lati che mi piace di me!

Dire quello che provo alle persone è un bisogno che mi porto dietro dall’infanzia. Nella mia famiglia d’origine sono l’unica ad avere questa caratteristica e adesso che sono diventata mamma mi sembra la cosa più bella da trasferire ad un figlio.
Vorrei che lui fosse capace di sentire sempre, nel profondo del cuore, ogni sentimento, bello o brutto, ogni sensazione, ogni sfumatura della vita, e che possa manifestarla, dargli un nome, lasciarla scorrere nelle vene senza paure e senza freni!

Mi piaceva la festa della mamma, mi sentivo quasi la protagonista come figlia, anche se la festeggiata non ero io! Per molto tempo la festa della mamma l’ho vista solo con gli occhi di figlia (ma si smette mai davvero di sentirsi figli?) poi è arrivato un altro momento: quello in cui questo giorno avrei voluto cancellarlo dal calendario. Brutto, si, brutto da dire. E da spiegare, perché  è facile essere fraintese.

E come spiegarvi che, negli ultimi anni della mia vita, questa festa era oggetto della mia indifferenza e soggetto della mia sofferenza?

Eppure ero sempre la figlia di una mamma meravigliosa e meritevolissima di essere festeggiata! Ma il fatto era che non mi bastava più!

Io volevo essere la festeggiata. E non mi bastava più sentirmi in qualche modo attore della festa come quando ero bambina. Io volevo essere la protagonista. Ma è difficile quando si sta male essere protagonisti di qualcosa di diverso della propria personale sfiga. Si crede di essere perseguitati, ci si sente vittime sempre di qualche torto, ed è  su quello che ci si concentra, sprecando energie in inutili recriminazioni. Io volevo essere mamma e non riuscivo, e per la famigerata proprietà  transitiva, non riuscivo a gioire per le mamme in generale.

Oggi che sono mamma molte di queste cose mi sembrano assurde, stupide da pensare, ma vi giuro che le ho provate!
Oggi che sono mamma posso dire di capire cosa si prova ad essere genitore, cosa si sente nel dare alla luce una vita, sentirla tua, anche se non lo è, sentirtene responsabile, anche se poi dovrai lasciarla andare.

Per questo, forse, anche il sentirmi figlia, oggi, mi sembra diverso e la festa della Mamma mi sembra un giorno bellissimo come allora!

Perché in fondo, se ci pensiamo bene, chi è veramente protagonista di questa festa?

Non siamo tutte figlie, prima di essere madri?

Auguri a tutte le mamme. E a tutte le loro figlie.

lunedì 2 maggio 2016

Il ritorno al mondo di tutti


C’è un tempo in cui il mondo si ferma. Almeno per una neo-mamma.

E’ il tempo in cui gli altri non esistono più; la vita sociale, con i suoi annessi e connessi, smette di avere importanza e con lei se ne vanno anche TV, telegiornali, cronache, libri. Le ore si dilatano ed è come un’eterna domenica, dove il calendario non serve, perché non ha più importanza dare un nome ai giorni, ai mesi, alle stagioni. Non è di nessun interesse se piove o se c’è il sole e puoi persino eliminare dal tuo cellulare la app con le previsioni meteo!

Il mondo, nell’accezione che fino a quel momento ha avuto questa parola, non esiste più per te che sei diventata mamma da poco. Il mondo-di-tutti, intendo. Esisti solo tu, nel tuo nuovo ruolo, il tuo bambino e i vostri ritmi, scanditi dal binomio pappa-nanna!

Nella mia esperienza di mamma questo periodo è durato molto a lungo. Un anno e mezzo lontana dal “mondo-di-tutti”, che si sono tradotti anche in un’assenza prolungata dal mio vecchio blog http://inattesadiattesa.blogspot.it/ che ho deciso di chiudere per aprire una nuova pagina, più adatta alla nuova esperienza di mamma che sto vivendo, ma che sempre sarà il risultato di quello che è stato il mio passato. Spero che entrambe le mie esperienze possano essere d’aiuto ad altre donne, mamme diventate, sognate o immaginate, e strappare loro un sorriso leggero.

Ed è così che è nato: www.lamammacheaspettavo.blogspot.it così come, il 21 maggio 2015, è nata la mia nuova vita.

Questo anno e mezzo è stato per me travolgente, sconvolgente, una rivoluzione in piena regola. Un periodo “sospeso”: come aver vissuto in una bolla di sapone.
E’ stato senza dubbio il periodo più bello e intenso della mia vita fino ad ora. Quello che avevamo sognato (e chi ha seguito il mio blog conosce la mia storia) si è avverato ed è diventato una splendida realtà, alla quale dedicarsi totalmente.
Tuttavia, indipendentemente da quanto questo non-tempo possa durare, esso inesorabilmente finisce, per tutte, in un unico e ben preciso momento: quello del temuto rientro al lavoro per la neo-mamma!
E’ il momento in cui ti rendi conto che gli altri non hanno perso l’orologio e che esiste ancora gente a cui interessa che tempo farà nel weekend!!
Quindi, eccomi qui, dopo 10 bellissimi mesi, a fare i conti con questo momento che anche per me è arrivato.

È senza dubbio un passaggio delicato, per la mamma e per il bambino, perché i neonati, sentono profondamente questo distacco, anche se non lo manifestano tutti nello stesso modo.  Pietro avverte nel profondo se ho dei pensieri diversi dal solito, se sono in ansia, triste, nervosa o preoccupata. Me lo legge nel cuore, meglio di uno psicologo, e davanti a lui e ai suoi occhioni profondi non posso fingere.
Lui ha iniziato a presentare segnali di disagio addirittura in anticipo sul mio rientro. Risvegli notturni, una o anche due volte a notte (si lo so che per la maggior parte dei bimbi è la normalità, ma stiamo parlando di mio figlio Pietro, che da quando è nato si è sempre sparato 10/12 ore di sonno filato); mammite acuta nella fascia oraria 18-21 con sguardo languido e innamorato di chi non ha occhi che per te; pianto istantaneo dopo mio allontanamento anche solo di pochi centimetri; sindrome da abbandono se lasciato fra le braccia del papà per più di 20 secondi, con conseguente confinamento della figura paterna al ruolo di semplice co- inquilino!
Devo aver covato nei giorni precedenti una angoscia profonda di cui nemmeno io ero pienamente consapevole, ma Pietro sì. Anche se non volevo ammetterlo, o se superficialmente non sembrava, io sono stata molto tesa per giorni e il mio pensiero fisso era il cambiamento che avremmo dovuto affrontare. Continuamente mi chiedevo come avrei potuto lasciare il mio bambino per buona parte della giornata, dopo 10 mesi di vita in simbiosi. Credo succeda qualcosa di simile per tutte le mamme.

Il momento più difficile in assoluto è la mattina, quando lascio il lettone caldo e ancora pieno del suo profumo e stropicciato dalle sue manine che mi cercano durante il sonno. Vorrei stare li abbracciata al suo tenero corpicino a continuare a respirarlo tutto il giorno, senza orari come facevamo prima!
Il cambiamento maggiore che ho notato in lui è l’attaccamento che ha sviluppato nei miei confronti. Parrebbe paradossale che i figli debbano attaccarsi alle mamme proprio quando loro devono staccarsene, ma forse è proprio questo che rende questo rapporto unico e speciale. L’essere sempre alla ricerca l’uno dell’altro, il pensarsi sempre e solo vicini, il sentirsi una cosa sola, pur stando lontani. Credo che sia questo che permette a entrambi di sopportare la separazione fisica.
Io senza di lui mi sento come tagliata a metà, come se mi mancasse un pezzo. Ma mi basta pensarlo per sentirlo vicino e sentirmi subito sollevata. Come a dire: lui c’è. E c’è sempre. Non è più un sogno. Posso andare ovunque, ma sarò sua madre per tutta la vita. È uno dei pensieri più ricorrenti da quando sono mamma, e forse dipende dal fatto che ho atteso tanto prima di diventarlo. Forse questa è una prerogativa di chi, come me, ha avuto modo di pensarsi non-madre per tutta la vita e ha bisogno di avere conferme continue sul fatto di esserlo.

Per alcuni versi il mio è stato un rientro burrascoso. Problemi che non starò qua a raccontare ma che hanno avuto un happy end sorprendente che ha portato tra i membri della nostra famiglia un nuovo componente: la mamma-che-lavora-part-time!
Questa grande novità ha suddiviso la mia giornata in due parti ben precise. La mattina quando sono in ufficio riesco a concentrarmi sui progetti, sulle riunioni, i meeting eccetera, e il pomeriggio quando sono con Pietro penso solo a lui e sento di avere ancora tante energie da dedicargli! La mia paura era quella di fare esattamente il contrario!
Una delle prime piacevoli scoperte è stata che il mio lavoro mi piace ancora parecchio, nonostante i tanti km che percorro per raggiungerlo! Non nascondo che ho valutato diverse alternative prima di rientrare, tra le quali quella di fare la mamma h24, immediatamente scartata per cause di forza maggiore, e quella di trovarmi un lavoro più vicino, ancora non scartata ma in stand by a data da destinarsi, date le difficoltà dell’attuale momento di crisi economica!

Ma veniamo agli aspetti drammatici che la mamma si trova bruscamente ad affrontare una volta fuori dalla bolla:

-        Il primo giorno TUTTI ti circondano di affetto, i colleghi-amici, ma anche i semplici colleghi-conoscenti, i colleghi intravisti e pure i colleghi nuovi che non conosci nemmeno: ti chiedono del tuo nanetto, vogliono vedere foto, ti chiedono quanto è stato traumatico il rientro, dando per scontato che lo sia stato.

-        Il secondo giorno QUALCUNO ti chiede come sta andando il rientro, dando per scontato che ormai non sia più traumatico.

-        Dopo tre giorni TUTTI ti salutano come se tu non fossi mai mancata e, soprattutto, anche a te sembra che sia così.
Per la serie: il fatto che io sia diventata mamma può (udite-udite) addirittura non interessare al mondo-di-tutti.

Uno dei vantaggi del lavorare molto lontano da casa è che il tragitto casa-lavoro in auto mi permette di abituarmi piano piano all’idea del distacco, senza versare troppe lacrime.
Inoltre, il fatto che in auto ci si ritaglia del tempo per se stesse, che, come tutte le neo–mamme sanno, è merce assai rara. È l’unico momento della giornata in cui si è veramente DA SOLE! Telefonate alle amiche, messaggi in chat di gruppo (dove predominano i gruppi-mamme ovviamente!), musica e addirittura notiziari alla radio trasformano il viaggio, che prima era esclusivamente un peso, in un quasi piacevole momento di pubbliche relazioni, indisturbate! E’ un contenitore quasi perfetto di tutte queste piccole occupazioni sociali che, quando si è col frugoletto, ti fanno sentire tanto in colpa e che invece così hanno uno spazio dedicato (col rischio costante di tamponare l’auto davanti in coda ma questa è un’altra storia……)
Ed ecco qui: questa è la mia nuova vita di mamma-che-lavora-part-time. Una vita dove tutto si è ribaltato.

L’autostrada, l’ufficio, i colleghi ...ogni cosa apparentemente sembra rimasta uguale a prima, gli stessi movimenti, le stesse persone, addirittura ho ritrovato gli stessi fogli di appunti nel cassetto!

Ma quella che è cambiata sono io!
Io non sono più niente di quello che ero prima. Il mio sguardo sul lavoro, anche se ho la fortuna di fare qualcosa che amo, è cambiato totalmente. Credo che rimarrà diverso finché mio figlio non sarà completamente cresciuto. Le mie priorità, l’ordine di grandezza delle cose, il peso di tutto o quasi ciò che mi circonda è cambiato per sempre con la nascita di mio figlio. È come se avessi due occhi del tutto nuovi, che mi fanno vedere il mondo irrimediabilmente diverso!

È’ lui la spinta delle mie azioni, la forza che mi da’ vitalità ed entusiasmo per affrontare la vita e le mie nuove sfide: il lavoro, gli impegni quotidiani, le relazioni con gli altri hanno un nuovo significato con gli occhi di mamma.
Il suo sguardo pieno di allegria, semplice, pura, quando mi vede tornare a casa è una potenza. È la più grande fonte di energia che abbia mai avuto dentro. È, in fondo, l’energia che fa girare il mondo: il mondo-di-tutti.